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Un'Officina per Vigevano e il suo territorio
COS'E' OFFICINA. I fondatori di Officina hanno condiviso in questi mesi analisi, riflessioni e proposte riguardo la situazione attuale di Vigevano e del suo territorio, offrendo al contempo proposte per il presente e il futuro. I soci fondatori sono i rappresentanti delle categorie produttive che siedono al tavolo del Comitato Intercategoriale, con la presidente Maria Vittoria Brustia, quindi i rappresentanti del mondo dell'economia, del commercio, dell'industria, dell'agricoltura, delle professioni, della scuola, del volontariato, di cui si accenneranno i nomi durante l'illustrazione dei progetti. Si tratta di persone che possiedono requisiti di autorevolezza, onestà, serietà e competenza indispensabili per svolgere analisi appropriate e proporre alternative alla città. Rappresentano il capitale umano di Vigevano, per le esperienze acquisite nel campo del lavoro e del volontariato, dell'impegno civile in genere. Officina ha anche il sostegno del Vescovo di Vigevano, mons. Gervasoni, che ha seguito l'associazione fin dai suoi primi passi.
PERCHE' UN'ASSOCIAZIONE CULTURALE. Non si può iniziare questa riflessione sui singoli temi se non partendo dal tema capitale: quello dell'IDENTITA' di Vigevano. E una riflessione sull'identità di una città e del suo territorio non può che essere una riflessione di carattere culturale. Possiamo intendere l'identità in due modi: come un "culto" delle proprie radici che spinge a chiudersi e a isolarsi oppure come conoscenza di se stessi che induce all'apertura verso altre esperienze e al confronto. Dobbiamo innanzi tutto, per usare una bella espressione di Antonio Cederna, "conoscere la vocazione dei luoghi". Per CULTURA, in senso lato, intendiamo dunque non soltanto le istituzioni culturali (teatri, musei, biblioteche): intendiamo per cultura l'industria, l'artigianato, i mestieri e le professioni con l'insieme delle conoscenze che vengono applicate in ogni campo. È cultura l'agricoltura, la cura del paesaggio che il lavoro anonimo e collettivo di generazioni ci ha affidato.
Officina è dunque, formalmente, un'associazione culturale, nella sostanza una realtà molto più complessa di quanto la semplice denominazione lascerebbe intendere. Il punto di partenza è la situazione di crisi e di impoverimento che ha innegabilmente colpito la città negli ultimi anni, certo in gran parte dovuta alla condizione globale ma aggravata probabilmente anche da frammentazioni e mancanza di progettualità condivisa tra le categorie, le associazioni, le istituzioni. Crediamo sia doveroso contribuire a far fronte a questi problemi attraverso un'associazione che ha questo scopo principale: far sì che le categorie produttive, il mondo della scuola, del volontariato (molto attivo a Vigevano) trovino uno spazio d'intesa e di collaborazione al fine di realizzare progetti condivisi. Progetti, cioè, che non rispecchino i pur legittimi interessi di una o dell'altra categoria ma gli interessi della città.
NOME. Il nome stesso, Officina, implica l'idea del fare, ma non solo: la parola italiana deriva dal latino Officium che significa dovere, responsabilità, obbligo morale, proprio perché i fondatori si sentono in dovere di fare qualcosa per la città, secondo le loro capacità e competenze. "Officina" inoltre è stato il titolo di una rivista bolognese curata da Pasolini, Fortini, Leonetti che, negli anni Cinquanta, con le caratteristiche di quel clima culturale, tentava di indagare il rapporto tra cultura, politica e società. Un esempio che rimanda ad uno sforzo di comprensione della realtà.
FASI. Operativamente, in un primo tempo i soci fondatori si sono riuniti per gruppi in relazione ai quattro grandi macrotemi individuati: cultura e scuola, economia, servizi sociali, agricoltura ambiente e urbanistica. Ora, nella fase di elaborazione progettuale, i tavoli di lavoro si sono ricostituiti sulla base della partecipazione dei membri alla realizzazione di un progetto, proprio in virtù di quella collaborazione tra le categorie che auspicavamo fin dall'inizio.
Se dunque la prima fase della vita di Officina ha costituito un momento, necessariamente teorico, di confronto tra le diverse componenti, potremmo dire di "rammendo", si è ora avviata una fase pratica, di elaborazione e realizzazione di progetti grandi e piccoli, di "buone pratiche", che prendono anche ispirazione da quanto si sta realizzando in Italia e all'estero e che può essere declinato e adattato alla realtà locale. La maggior parte dei progetti, come vedremo, avranno attuazione in tempi piuttosto brevi, altri resteranno allo stato teorico e saranno presentati come proposte alla città e all'amministrazione. Ma il loro eventuale rimanere allo stato di proposta non ne sminuirà il valore di studio e di analisi, anche in una prospettiva futura.
MODO. Le modalità di azione di Officina sono riassumibili in tre punti: un'azione concreta, mai polemica nei confronti di nessuno, ma costantemente positiva e costruttiva. Tessere relazioni, costruire ponti è il modo di operare corretto in una società che si sta sfaldando. Secondo: Vigevano è una città da sempre, certo anche in relazione alla sua storia, disponibile a "fare", ad agire (la vitalità del volontariato ne è segno evidente), meno a discutere, forse, a fermarsi per ragionare insieme sui problemi e sulle soluzioni. Dunque, per Officina, informare non significare solo far conoscere i progetti in corso d'opera, ma tessere un dialogo con la città che è venuto meno, EDUCARE, i giovani e non solo, alla PARTECIPAZIONE, alla discussione sui vari temi al centro della progettazione.
I PROGETTI.
Veniamo ai progetti in fase di costruzione. In Officina la progettualità è sempre preceduta da una riflessione e da uno studio serio e approfondito dei caratteri della città e del suo territorio. Già nel basso Medioevo, nel borgo l'attività manifatturiera e il commercio della lana si erano affiancati con successo all'agricoltura. La proprietà fondiaria locale, spezzettata tra molti piccoli e medi proprietari, presentava i caratteri di quella frammentazione che diventerà uno dei caratteri peculiari della società vigevanese. Lo sviluppo delle manifatture, che conosce momenti di crisi e di ripresa, incontra un momento di stallo con l'Unità d'Italia per poi rinvigorirsi sul finire dell'800 grazie alle misure protezionistiche. Le filande Bonacossa, la Cascami Seta modificano il volto, anche urbanistico, della città, finchè all'inizio del '900 il settore calzaturiero sopravanza il tessile. Nascono nella seconda metà dell'800 la Scuola di arti e mestieri Roncalli ('75) e l'Istituto Negrone che tanta parte avranno nello sviluppo industriale del dopoguerra. Ma il settore calzaturiero, com'è noto, favorisce una produzione spezzettata in varie fasi, portate a termine in miriadi di laboratori e botteghe di piccole dimensioni, che sorgevano, come molti ricordano, praticamente in ogni cortile. Ecco dunque incrociarsi, ancora nella prima metà del '900, i due caratteri fondamentali della storia di Vigevano e della sua gente: la frammentarietà e la laboriosità, da declinare nelle eccezioni di creatività, ingegno, chiavi di un successo che le scuole di arti e mestieri hanno incentivato.
I progetti di Officina intendono recuperare questa tradizione di laboriosità positiva e di superare la frammentazione di cui soffre la società in genere, che sotto molti aspetti è diventata vera e propria disgregazione. Informare, creare alternative, aggregare, proporre.
Il primo progetto coinvolge tre realtà: l'agricoltura, la scuola, il sociale.
Le tematiche relative all'ambiente, all'agricoltura e all'alimentazione hanno assunto finalmente un rilievo significativo in conseguenza, anche ma non solo, di eventi come Expo e come la pubblicazione dell'ultima enciclica Laudato si'. Il nostro territorio è dominato da secoli dalle monocolture del riso e del mais, che costituiscono oggi i due poli principali dell'agricoltura "tradizionale". Accanto a questi, si sta facendo strada anche l'agricoltura biologica, sebbene in ritardo rispetto ad altre zone, ad esempio in Piemonte e in Emilia. Confagricoltura, che siede al tavolo di Officina con il segretario Paolo Castrovinci, ha voluto sottolineare il ruolo attivo dei giovani in questo settore in crescita e con ottime possibilità di sviluppo, inserendo nel consiglio direttivo dell'associazione Brayan Menardo, fondatore di Ortoantico, un'azienda che produce frutta e ortaggi biologici. Accanto a questa esperienza di successo si colloca un'altra eccellenza vigevanese nel campo dell'agricoltura, l'Azienda agricola Montana: la titolare sta completando la ristrutturazione della cascina Cararola, un gioiello cinquecentesco che sorge accanto ai laghi di S. Marta poco distante dai boschi del Ticino. La Cararola diventerà agriturismo a maggio del prossimo anno. Confagricoltura, con la collaborazione di questi e di altri coltivatori, intende superare la formula del mercatino e dell'iniziativa puramente commerciale a favore di un nuovo tipo di approccio all'agricoltura, che si basa sull'educazione. Mi piace ricordare le parole dell'enciclica sulla cura della casa comune: "Ci troviamo davanti a una sfida educativa. Questa educazione, chiamata a creare una "cittadinanza ecologica", a volte si limita a informare e non riesce a far maturare delle abitudini. Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare".
Operativamente il progetto consiste nell'organizzare, almeno una volta al mese, da maggio a settembre, una giornata (ovviamente la domenica) di visita alle aziende agricole del territorio che aderiscono a Officina. Si potranno raggiungere con visite organizzate o liberamente. Saranno aziende agricole aperte, tutte specializzate in tipi di produzione diversi, dall'orto biologico, al riso, al mais,ai cereali . Non si potrà solo acquistare, ma seguire, dove possibile, i passaggi della produzione, dalla raccolta al trattamento dei prodotti ecc… e saranno organizzati degustazioni e laboratori in modo che l'informazione non sia astratta e asettica ma provata sul campo, sperimentata. Ogni apertura sarà inoltre dedicata ad un tema: la biodiversità nel nostro territorio, il recupero dei semi antichi, l'allevamento dei bachi da seta che tanta parte ha avuto nell'evoluzione economica del territorio, a cui si aggiungono i temi del biogas, dell'acqua pubblica e del riciclo proposti da Marco Rivolta, direttore del Clir.
Ma poiché questa esperienza deve essere educativa ad ogni livello, una parte del progetto è dedicata agli orti didattici, che già in diverse scuole esistono ma non sono messi a sistema, non fanno rete. Finalità a lungo termine di Officina è di mettere in rete gli orti esistenti dalla scuole materne alle medie, crearli dove non esistono e favorire iniziative didattiche nelle aziende agricole pensate per le scuole che non hanno spazio per impiantare un orto.
Non solo: l'agricoltura ha anche un volto "sociale". Abbiamo riflettuto a lungo sul tema del consumo e, appunto, del rifiuto. Con una coscienza finalmente più attenta ai problemi dell'ambiente e del mondo in cui viviamo ci stiamo forse avviando alla fine di quella che possiamo definire "l'età del consumismo". Un'età che ha conosciuto una forte accelerazione dal termine della Seconda guerra mondiale. Si parla di consumo di suolo, di fonti energetiche non rinnovabili, di cibo. La "cultura" del consumismo, se così si può chiamare, è al contempo "cultura del rifiuto". Quantità immense di cibo vengono scartate ogni giorno, il territorio è una merce da cementificare a piacimento. Ciò che non può essere consumato, che non dà profitto, diventa rifiuto, sia esso persona, animale o bene inanimato. Anche le relazioni tra le persone si consumano velocemente, oggi, e, finendo, danno origine anche a situazioni di violenza inaudita, di soprusi. Si tratta dei casi di cui si occupa la Cooperativa Kore di Nicla Spezzati, Isabella Giardini, Chiara Beccari: in questo caso di donne che escono da situazioni drammatiche di violenza e abusi.
Di fronte a questa cultura del rifiuto hanno un peso fondamentale le nostre scelte, con le loro implicazioni e conseguenze. Nell'era di internet e della comunicazione veloce è un peccato mortale non sapere. Primo Levi scriveva: "E' colpa nostra se sappiamo così poco. Avremmo potuto leggere di più. E non lo abbiamo fatto per pigrizia mentale, per amore del quieto vivere". E ricordo ancora le parole dell'Enciclica: "Non ne abbiamo il diritto", non abbiamo il diritto di voltarci dall'altra parte di fronte alla sofferenza. Sofferenza che necessita anche di risposte pratiche, concrete: ecco dunque alcune aziende agricole si prestano a collaborare con la Cooperativa Kore per dare una possibilità di lavoro, anche part time, a donne seguite dal progetto "Donna tutto per te". Un lavoro che non ha per scopo solo il guadagno, il riconoscimento del proprio lavoro e del proprio valore, ma assume anche l'aspetto di una vera e propria terapia.
Nasce da qui anche un progetto dedicato al microcredito per indagare le possibilità che questo offre, superando l'ottica delle tradizionali borse lavoro.
Ecco come tutto si tiene, le relazioni nascono quasi da sé per comunanza di intenti e di interessi.
Siamo convinti di questo, come del fatto che l'agricoltura ha un ruolo sociale di conservazione dell'ambiente, oltre che di produzione.
Il secondo progetto, promosso da Elena Gorini, docente presso l'Istituto Casale, e Azza Bayoumi, mediatrice culturale di origine egiziana, si pone come rimedio alla dispersione scolastica. La criticità da cui prende le mosse è relativa ai ragazzi che frequentano le scuole superiori: la scuola non fornisce servizi pomeridiani, se non in particolari momenti dell'anno, e spesso i ragazzi più fragili non hanno alterative che non siano centri sportivi e oratori. Manca uno spazio di aggregazione laico, in città, facilmente raggiungibile e ben gestito. Non potendo Officina provvedere a questo, intende promuovere una collaborazione tra scuole superiori e mondo del volontariato sul modello del Light up avviato a Milano. Le associazioni di volontariato che aderiranno al progetto si presenteranno ad un incontro con i ragazzi in un momento stabilito con le scuole e parleranno delle loro attività nei diversi campi del sociale, dell'ambiente, della cura degli animali ecc… Si tratta di favorire un incontro non ognun per sé, alla spicciolata, ma organizzato. Il fine è promuovere il volontariato giovanile per farne un'occasione di crescita e di educazione alla partecipazione, di cittadinanza attiva. Non deve trattarsi di una scelta estemporanea, ma meditata e colta come occasione di impegno, di mettere a frutto il proprio tempo, non solo dedicandolo a qualcosa di buono, ma acquisendo competenze. Per questo, secondo gli intenti, ad ogni ragazzo verrà consegnato un "patentino" sul quale verranno indicate le esperienze svolte e le competenze acquisite per il percorso di studi successivo e per la vita in generale. Questo è anche un modo perché la scuola e le associazioni possano promuovere progetti comuni e valorizzare i giovani da ogni punto di vista.
Il terzo progetto è stato chiamato, in modo provvisorio, "Vigevano città della calzatura".
Si tratta di un ripensamento della città che coinvolge in particolar modo le categorie produttive, raccolte nel Comitato Intercategoriale, il mondo della scuola e della cultura. Vigevano, com'è noto, è ancora conosciuta in Italia e all'estero come "capitale della calzatura", nonostante il forte ridimensionamento che il settore ha subìto rispetto a qualche decennio fa. Si tratta dell'ultima evoluzione di quel settore tessile che ha fatto la fortuna della città dal basso Medioevo. Un settore da cui deriva a sua volta il meccano-calzaturiero e un indotto che ha implicato trasformazioni significative in ogni ambito, da quello sociale a quello urbanistico. Custode di questa memoria è il Museo della Calzatura, unico pubblico in Italia di questo genere. Un museo "di settore", con una forte identità locale. Un museo che i vigevanesi conoscono poco, e visitano ancora meno. Un museo che non dispone di didascalie e brochure in lingue straniere, almeno nelle principali. Un museo che di multimediale ha soltanto la bella Stanza della Duchessa (nata proprio per iniziativa di questo Lions nel 2011), che non è inserito in un circuito più ampio che lo valorizzi, come, ad esempio, il Museo del Vetro di Murano fa parte del sistema museale di Venezia.
Officina, in particolare con la collaborazione di Maria Vittoria Brustia e Massimo Martinoli, crede che sia indispensabile fornire gli strumenti per comprendere il museo e le radici del successo vigevanese nel campo calzaturiero. Comprendere significa studiare il contesto storico, analizzare, documentare, infine creare mezzi utili alla fruizione. Sarà avviato dunque, nelle intenzioni, uno studio archivistico sulla documentazione ancora esistente circa la Mostra internazionale delle Calzature, in termini di carteggi, repertori fotografici, disegni di stand e modellini. Uno studio che dovrebbe dar luogo ad una mostra da presentare al Micam relativa alla Mostra vigevanese che appunto del Micam fu l'antenata, in collaborazione con Assocalzaturifici e gli attori locali, a partire ovviamente dall'amministrazione. Una mostra rivolta al settore calzaturiero nazionale e internazionale, a documentare il ruolo di capitale della calzatura che Vigevano ha effettivamente svolto per decenni.
Uno sforzo di comprensione e riflessione che vedrà coinvolte anche le scuole: la prof. Mariarosa Beltrami, docente presso l'Istituto Casale, coinvolgerà i ragazzi delle superiori nella creazione di brochure per il Museo della calzatura e di didascalie in diverse lingue straniere in modo da facilitare la comprensione ai visitatori e con altre iniziative in corso di elaborazione.
L'Associazione commercianti, presente in Officina con il presidente Renato Scarano, Massimo Negri, Bruno Stopino, Federica Boneschi, Elena Balocco, Daniela Braga, si sta occupando dell'elaborazione di proposte da rivolgere all'amministrazione circa la fruibilità del museo, la sua conoscenza, la diffusione di notizie a riguardo, la comunicazione.
Il progetto sulla "città della calzatura" si completa con due iniziative correlate, apparentemente distanti da quanto prospettato finora, in realtà strettamente collegate. Parlando di storia della città e di calzatura, si è parlato fino ad ora di cultura, di una "cultura del fare", del lavoro. Un "fare" che si è radicalmente evoluto in un'epoca di profonde trasformazioni come quella che stiamo vivendo. Trasformazioni spiazzanti, certo, ma non sempre negative, anzi. Si parla di "crisi", giustamente. Noi guardiamo alla crisi nel senso del termine greco, che significa "separazione, scelta", addirittura "lotta, decisione, esito". Ci siamo "separati" da un mondo che è finito, concluso, e questo ha imposto delle scelte, delle decisioni. È non estraneo nemmeno il significato di lotta, se pensiamo alla fatica e insieme alla precarietà del lavoro oggi. A queste trasformazioni, su iniziativa di Michele Linsalata, attuale coordinatore di Retecultura, saranno dedicati gli eventi di una rassegna radicalmente diversa da quelle che animano le città italiane da diversi anni a questa parte. Le rassegne tradizionali (splendide manifestazioni che coinvolgono città da Mantova a Trento, da Sarzana alla stessa Vigevano) sono dedicate ciascuna a una disciplina diversa: letteratura, filosofia, psicologia, economia. Ogni anno poi è sviluppato un tema specifico. Qui si tratta del contrario. Il tema è quello delle trasformazioni e sarà declinato secondo discipline diverse.
Infine, se il ripensamento della città deve essere completo, non può non riguardare l'urbanistica. Urbanistica intesa come cura della città, esattamente come l'agricoltura è cura del territorio. Tutti conosciamo il dibattito relativo ai centri storici che ha animato la discussione a partire almeno dagli anni Settanta, con il contributo di grandi architetti e urbanisti. Tutti conosciamo il profondo nesso che lega la famigliarità con l'ambiente in cui si vive al senso di benessere e sicurezza. Tutti sappiamo che il degrado ambientale è sempre anche degrado civile, che un contesto alienante e degradato favorisce l'emergere di condizioni di violenza, uno armonioso a sentirsi parte di una comunità, a rafforzare la propria identità.
Nonostante le trasformazioni urbanistiche che hanno mutato il volto della città nel corso dell'800 (pensiamo solo all'abbattimento dei terraggi, le antiche mura, alla nascita di insediamenti industriali), i nostri antenati ci hanno consegnato (vale ovviamente per tutta Italia) uno spazio carico di senso, immagine della nostra appartenenza a una storia e una geografia, immagine della nostra identità collettiva. Un'identità non limitata al centro storico: la nostra identità è nella nostra città e nel nostro territorio, uniti dalla stessa storia, dalla stessa cura, dalla stessa cultura. Uno spazio carico di senso, non una merce da consumare a piacimento. Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte, che fu rettore della Normale di Pisa e membro del consiglio scientifico del Louvre, scrive: "Villaggi che per secoli avevano saputo crescere conservando l'impronta di una cultura dell'abitare tanto più nobile quanto più povera sono assediati da nuovi, anonimi quartieri che cancellano dall'orizzonte campanili, torri, mura, alberi secolari. Sono consegnate a speculatori senza scrupoli le città che furono per secoli il modello d'Europa per l'armonioso innestarsi di ogni nuovo edificio sul robusto, mirabile tessuto antico, per una cultura urbana diffusa".
La forma della città e del paesaggio hanno dunque una funzione sociale e civile, come patrimonio della collettività. Non dimentichiamo che tipicamente italiana è la diffusione capillare del patrimonio, una bellezza diffusa non solo nei musei e nei centri storici ma nelle campagne, nelle vie, nelle piazze. Non conta dunque soltanto una parte (l'eccellenza del Duomo, della Piazza e del Castello) ma tutto l'insieme. Ecco il senso della "conservazione contestuale".
Di fronte alla complessità di queste tematiche, che costituiscono il nostro orizzonte, nell'ambito di Officina, operativamente, Alberto Righini, presidente degli Edili, con la collaborazione di Mattia Zorzoli, un giovane architetto, ha proposto di portare a termine una mappatura delle aree comunali intercluse non utilizzate. Queste aree spesso, poiché abbandonate, diventano vere e proprie discariche quando invece potrebbe essere gestite come snodi per collegare altre aree tra loro non comunicanti, o adibite a verde pubblico e giardini. Un concetto che riprende "il rammendo delle periferie" di cui parla Renzo Piano, nell'intento di ridare dignità a zone che si trovano in condizioni di incompletezza. Esistono per altro specifici bandi europei relative alla eco sostenibilità. Si tratterebbe di un servizio utile anche per il Comune, che non dispone di una tavola completa di queste aree e delle relative concessioni. In tale mappa futura saranno segnalate anche altre criticità, ad esempio quelle relative alle aree dei fallimenti, dove restano gli scheletri degli edifici in costruzione. Si tratterà ovviamente di un'indagine conoscitiva e spannometrica e darà luogo a proposte rivolte all'amministrazione circa il possibile utilizzo e fruizione di questi spazi.
È evidente dunque che Officina si pone come organizzatrice e creatrice di eventi e progetti concreti, ma ritiene di non minore importanza gli studi che, come questo, resteranno allo stato teorico. Hanno valore di analisi e riflessione sulla città, nonché di proposta rivolta all'amministrazione comunale, a prescindere dalla loro attuabilità. È rilevante comunque che queste iniziative non saranno presentate come proposte di una o dell'altra categoria ma della città nelle sue varie parti e componenti.
Per concludere vorrei citare questa frase che mi è molto cara: "Le barriere giovano soltanto a impoverire i popoli, a inferocirli gli uni contro gli altri, a far parlare a ciascuno di essi uno strano e incomprensibile linguaggio, di spazio vitale, di necessità geopolitiche e a far pronunciare ad ognuno di essi esclusive scomuniche contro gli immigrati, quasi che fossero lebbrosi e quasi il restringimento feroce d'ogni popolo in se stesso potesse, invece di miseria e malcontento, creare ricchezza e potenza". Sembrano parole scritte oggi, nei giorni dei muri che si ergono qui e là in Europa. Invece le pronunciò Luigi Einaudi, nel discorso all'Assemblea Costituente del 29 luglio 1947. Decliniamo queste parole nella nostra realtà locale: non saranno le divisioni a salvarci, ma il lavorare di concerto, uniti, le categorie produttive, il mondo della scuola, del volontariato. Nessun mondo, nessun gruppo chiuso in se stesso creerà ricchezza, né materiale né morale o intellettuale.
Io sono un'archivista e uno storico dell'età contemporanea. Una delle maggiori figure del Novecento è Marc Bloch, lo storico francese fondatore delle Annales, esempio eccezionale di studioso e di uomo. Prese parte alla resistenza francese e fu ucciso dai nazisti nel '44. Le Goff scrisse di lui che seppe analizzare i periodi di crisi del passato come periodi di cambiamento, addirittura di sviluppo, ridando così un senso positivo e una speranza anche al suo drammatico presente, quello della Seconda guerra mondiale. Sottolineava che è sì necessario conoscere il passato per capire il presente ma che è necessario anche il contrario: conoscere il presente per capire il passato, "mediante un contatto perpetuo con l'oggi", per usare le sue parole. Il lascito di Bloch è proprio questo: uno sforzo di comprensione della realtà volto a superare i problemi dell'oggi e a costruire alternative condivise per il futuro. Officina fa proprio questo lascito.
Marta Bonzanini
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